Testo tratto da Testo tratto da "Incontro con Davide Clemente" a cura di Vera De Martino, in occasione della personale presso la Galleria Artouverture, febbraio 2009.
Il suo studio si trova in un seminterrato della periferia di Milano, dove lo spazio per appendere e sistemare i quadri è da tempo esaurito. Oltre ad un marasma di tele, telai, pennelli e spatole, ovunque si trovano sparpagliati libri, riviste, giornali e fotografie di ogni genere. Appena sono entrata ha dovuto liberare una vecchia poltroncina da alcuni telai per farmi accomodare.
Mentre mi guardo intorno, ho come l’impressione di essere osservata da tutti questi personaggi alle pareti; si avverte quasi la presenza, la compagnia di queste persone. I corpi hanno una forma e un volume tali da essere una presenza viva. In tutti i volti è lo sguardo a rappresentare il punto focale, a condurre lo spettatore al significato; gli occhi, aperti o socchiusi, raramente rivolti verso lo spettatore, tendono piuttosto ad un punto esterno, vicino alla figura e vicino a noi, rendendoci appunto parte integrante del quadro.
Questa selezione di lavori rappresenta una parte significativa della produzione dell’artista, che negli anni ha messo a punto grande abilità e scioltezza compositiva, presentando così un lavoro omogeneo e contestualmente di ricerca, che tende a intrappolare armonicamente movimenti e situazioni del nostro presente. Emergono infatti dinamismo, volume ed energia, elementi dati dal grande formato delle tele e dalla gamma sintetica e incisiva dei colori usati, oltre che dalle pennellate nette, ricercate e luminose.
V.D.M. “E’ evidente la tua passione per “l’essere umano”, il ruolo centrale che ha per te la persona al di fuori di un contesto. L’ambientazione, quando presente, è molto essenziale, praticamente ridotta all’osso”.
D.C. “Diciamo che prediligo i campi stretti, ma non ne faccio un dogma. Cerco di passare attraverso un canale sensoriale, emotivo, più che razionale. Come quando ascolti una canzone che ti piace in una lingua che non conosci, a quel punto anche la voce non è altro che uno strumento. Perdi il senso logico del significato ma lasci aperto un canale emotivo che accoglie molte più cose. Per fare questo ho bisogno di riassumere il più possibile. Far interagire la figura con lo spazio richiede un approccio totalmente differente, una struttura più artificiale e meccanica, mentre io dipingo sull’onda dell’impulsività. Quando mi capita di perdere quella spinta, di solito, non riesco più a finire il quadro”.